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Si hanno notizie certe di questa devozione dal 1300; infatti i reliquiari del
famoso «tesoro di S. Vito», rubato nel 1928, portavano questa scritta: «Dono
della comunità di Marano 1362». Dal 1500 in poi, attraverso le delibere che
stabilivano l’elezione del «Capitano della Festa», si hanno anche notizie
della festa. Una festa esterna che durava più giorni, durante i quali era
sospesa ogni attività e che aveva il suo momento centrale nella processione e
nella S. Messa, che veniva celebrata nella chiesetta dell’isola omonima.
Questa processione veniva fatta con le barche, essendo queste l’unico mezzo
per recarsi nell’isola di S. Vito. Fino agli anni sessanta del 1900, la
processione seguiva un rituale consacrato da secoli: barche da laguna,
preparate a festa con fiori «de tapo», con scritte eseguite in calce
inneggianti ai Santi, legate fra di loro, precedevano una barca speciale,
addobbata sfarzosamente e recante un baldacchino. Questa barca veniva chiamata
la «galleggiante» e su di essa avevano il posto d’onore le statue dei Santi
e l’urna cinquecentesca delle reliquie, poi il sacerdote officiante, che di
solito era un grosso prelato della diocesi, il clero, i chierichetti, le
autorità... Il tutto
veniva trainato da due barche a remi, dove i giovani più forti del posto (in
seguito i coscritti), davano saggio della loro giovanile baldanza. Durante il
tragitto si cantavano le litanie dei Santi, con una melodia particolare, in uso
a quanto consta, soltanto a Marano. Dopo lo sbarco sull’isola aveva luogo la
celebrazione della S. Messa
cantata da tutto il popolo e quindi si riformava la processione, si risaliva
nuovamente in barca e sempre cantando si ritornava al molo di Marano, da dove
poi si proseguiva a piedi sempre in processione, fino in chiesa parrocchiale.